Spesa a km 0, il ruolo decisivo dei mercati rionali
L’acquisto e consumo di cibo sono pratiche quotidiane e quasi automatiche per tutti. Ma il percorso di ciò che acquistiamo è colmo di dinamiche che possono avere un impatto considerevole sull’ambiente, e spesso si sottovalutano. La spesa a km 0 può essere un rimedio, ma come organizzarsi?
Secondo un rapporto della FAO, in collaborazione con Centro Comune di ricerca della Commissione Europea, il settore alimentare è uno dei giganti dell’impronta di carbonio globale, contribuendo a circa il 34% delle emissioni di CO2. In poche parole, ogni acquisto alimentare che facciamo contribuisce per un terzo all’effetto serra. Già questo dato dovrebbe, se non allarmarci, perlomeno smuovere la nostra consapevolezza su quanto piccoli gesti automatici abbiano una grande rilevanza sull’impatto delle attività umane sul pianeta.
Di questa mastodontica mole di emissioni, più del 70% è imputabile alla produzione di alimenti e allo sfruttamento agricolo e il 29% alla distribuzione dei prodotti. Di fatto potrebbe sembrare che, nel solo ruolo di consumatori, non abbiamo chissà quale grande potere di incidenza, ma al tempo stesso questi dati ci dicono che soffermarci a ripensare quegli automatismi a cui ci siamo abituati, potrebbe invece influire su un terzo delle emissioni totali. Se per le prime due cause possiamo solo cercare di influenzare il mondo dell’agricoltura e produzione alimentare con scelte di consumo atte a premiare marchi che certificano la scelte di pratiche meno impattanti, per la terza il ruolo di consumatori ha sicuramente maggiore margine di incidenza.

Ci domandiamo l’impatto della nostra spesa?
Trasportare via aereo un chilo di mele cilene produce 18,3 kg di anidride carbonica, consumando 5,8 chili di petrolio. Un chilo di kiwi neozelandese, invece, contribuisce con 24,7 kg di anidride carbonica e consuma 7,9 chili di petrolio. E parliamo di impatti collegabili solo al trasporto, escludendo quelli che derivano dalla tipologia e dalle scelte produttive, più o meno intensive che siano. Soffermandoci su questi esempi, il mantra del “comprare a KM 0” quindi non è solo uno slogan, ma un atteggiamento che, se portato a regime più possibile, avrebbe ricadute non indifferenti. Scegliere mele o kiwi locali significherebbe potenzialmente esporre l’ambiente a meno emissioni di CO2.
Chiaro che non basterebbe farlo una tantum per sperare in un rapido risultato, e magari per colpa della frenesia e degli impegni non si riesce neanche a farlo tutti i giorni. Ma, come detto, l’unica parte che da consumatori possiamo recitare è quella di smussare, mettere in dubbio gli automatismi che ci portano a non chiederci mai che viaggio abbia fatto quella frutta, o verdura o pesce, che stiamo comprando. Chiedercelo, informarci se ci sono alternative vicino a noi ci porterebbe ad avere sempre meno bisogno di voli transoceanici carichi di frutta acerba e gas serra

I mercati rionali: avamposti del km 0
Ma come passare dalla teoria alla pratica? Si può scegliere di indirizzare la propria spesa verso ciò che è garantito come locale o nazionale nei grandi rivenditori, ma spesso questi prodotti si presentano con tagli di costi più elevati per le, talvolta, incomprensibili regole del mercato globale che spesso portano a costare di meno un alimento prodotto a migliaia di chilometri di distanza. La chiave è invece individuare dove le necessità specifiche di un’attività incontrano le necessità di scelta consapevole di un consumatore che voglia ridurre l’impronta carbonica della sua spesa.
E qui che i banchi di mercato giocherebbero un ruolo di protagonisti. Essi vivono di rapporti con i fornitori locali; i numeri di vendita non sono quelli di un grande supermercato e quindi scegliere di rifornirsi, quando lo stesso banco non sia proprio lui stesso un piccolo produttore locale, da filiere più corte è l’essenza stessa del loro modello commerciale. Per di più la tipologia di vendita è per la maggiore incentrata sullo sfuso, e questo è un dettaglio che assume molta rilevanza se si considera il dato che ci dice che 2/3 dell’industria degli imballaggi mondiale lavora per il confezionamento del cibo. Il “km 0” è una ovvia conseguenza dei mercati alimentari e indirizzare la propria spesa più possibile verso queste realtà, quando possibile, significherebbe fare la propria parte per influire in quel 29% di emissioni causate dal trasporto a lungo raggio di cibo.

Le cose stanno cambiando, cambiano anche noi.
Nonostante la soluzione sembra ovvia è anche comprensibile che i ritmi e stili di vita a cui siamo abituati spesso rendono difficile fare sempre e solo la spesa in mercati rionali, che hanno orari di apertura ridotti. Ma questa situazione sta già cambiando, e se incentivata da un aumento della domanda potrà sempre più incontrare in maniera efficiente le necessità dei consumatori moderni. L’aumento di lavoro agile da casa ci ha dato una scusa in meno per non preferire una spesa a Km 0 dal proprio mercato di quartiere, e gli stessi enti si stanno organizzando per venire incontro con nuove modalità. Qui su mercati d’Autore, per esempio, ti diamo la possibilità di prenotare la tua spesa e venire poi solo a ritirarla. In generale le iniziative volte a buttare giù la barriera fra acquirente e banco del mercato si stanno moltiplicando.
La strada per ridurre l’impatto della nostra spesa è sicuramente ancora lunga e tortuosa, ma prenderne consapevolezza e cominciare pian piano a mettere in dubbio gli stili e i luoghi di acquisto in cui ci siamo alienati, premiando quelli che per connotazione offrono dinamiche meno impattanti come i mercati rionali è un’opzione per chi vuole partecipare alla ricerca di una maggiore sostenibilità. Oltre che riscoprire quell’umanità e quel rapporto caldo che solo la spesa da piccoli agricoltori o rivenditori di un mercato può dare. Inizia il tuo cammino per ridurre l’impatto della tua spesa scoprendo i mercati d’Autore di Roma.